San Giuseppe Pignatelli
José Pignatelli (1737 - 1811), nacque da nobilissima famiglia
nel 1737 a Saragozza nella Spagna, dove ricevette quasi tutta la sua educazione.
Nel 1751 diede il nome alla Compagnia di Gesù; ordinato sacerdote nel 1762, si
dedicò all'apostolato tra i più poveri della sua città natale. Soppressa la
Compagnia di Gesù, si adoperò moltissimo per sua restaurazione; dal 1803 fino
alla morte governò la provincia d'Italia. Amato da tutti per la sua carità,
umiltà, cortesia e altre virtù, morì a Roma il 15 novembre 1811. Fu
dichiarato santo da Pio XII nel 1954.
Nella liturgia viene ricordato il 14 novembre
Preghiera
O Dio, che hai arricchito san Giuseppe Pignatelli di una
invincibile fortezza d'animo nelle avversità, perché potesse radunare i
confratelli dispersi, concedi che anche noi, sostenuti dall'aiuto fraterno,
rimaniamo, attraverso ogni vicissitudine, fedeli alla nostra vocazione.
I Pignatelli stabilitisi a Saragozza nel sec. XVII erano un ramo di una
nobile famiglia medievale del regno di Napoli, la quale aveva dato recentemente
al pontificato romano il papa Innocenzo XII (1691-1700). Don Antonio Pignatelli,
padre del santo, proveniva dal ramo ducale di Monteleone; sua moglie, donna
María Francisca Moncayo Femández de Heredia y Blanes, Grande di Spagna,
contessa di Fuentes e marchesa di Mora e di Coscojuela, raccoglieva il sangue e
gli stemmi di due grandi famiglie: quella aragonese degli Heredia e quella
catalana dei Blanes, entrambe stirpi di militari e di umanisti fin dagli albori
del primo Umanesimo italiano.
G. (non Giuseppe Maria), il settimo degli otto figli di don Antonio e donna
María Francisca, nacque nel palazzo avito dei conti di Fuentes a Saragozza il
27 dic. 1737. A soli quattro anni perdette la madre e suo padre ritornò con la
famiglia a Napoli, dove l'unica figlia, Maria Francesca, contessa dell'Acerra,
curò per due o tre anni l'educazione dei fratelli minori G. e Nicola. Morto
pure il genitore, il fratello maggiore, conte di Fuentes, li riportò a
Saragozza, dove studiarono nel collegio dei Gesuiti e dove, tutti e due,
decisero di abbracciare la vita dei loro maestri.
In un ambiente di primato cosciente del soprannaturale, di vigore ascetico e di
elevato aggiornamento culturale - tre tratti caratteristici dei Gesuiti
dell'antica corona di Aragona - fu educato il P. come religioso. Fra i due anni
di noviziato in Tarragona (1753-55) e il triennio di filosofia in Calatayud
(1756-59) si frappose un anno di studi umanistici a Manresa; sosta
provvidenziale, affinché quegli che doveva avere una parte così importante nel
dramma della distruzione e della restaurazione della Compagnia di Gesù, potesse
seguire da vicino i primi passi spirituali ed apostolici di s. Ignazio nella
città più ignaziana della Catalogna.
Da quando, nel 1759, il P. finì suoi studi di filosofia a Calatayud fino a
quando il 3 apr. 1767 fu eseguito il decreto di arresto ed espulsione dei
Gesuiti, firmato da re Carlo III sin dal 27 febb., egli risedette sempre a
Saragozza: dapprima, quale studente di teologia, e poi, dopo essere stato
ordinato sacerdote nelle Tempora di dic. 1762, quale professore di grammatica
nel collegio e quale operaio apostolico. Così, mentre il fratello maggiore don
Joaquín, conte di Fuentes, era nominato ambasciatore del re cattolico presso la
corte di Francia, il fratello gesuita si dedicava sollecitamente ad insegnare il
catechismo alla povera gente ed a visitare gli ammalati ed i carcerati,
nonostante le sue frequenti emottisi, esempio di fiducia in Dio, di carità e di
umiltà: tre virtù che spiccheranno durante tutta la sua vita.
Infatti, poco tempo dopo la sua morte, Giovanni Andrés, lo storico della
letteratura universale, connovizio del santo in Tarragona e poi compagno suo di
esilio in Italia, potrà scrivere: " L'umiltà e la carità sono stati i
suoi tratti più salienti, ma molto ci sarebbe anche da dire su la sua fiducia
in Dio ". Occorre aggiungere che un altro tratto della sua personalità fu
il saper unire l'umiltà, la carità e la fiducia in Dio ad una signorilità
innata e connaturale, da non potersi precisare dove si differenziassero la
modesta eleganza del suo gesto e l'umiltà come virtù, la cortesia e la
carità, la somma fiducia in Dio e l'indomito vigore della sua tempra; e tutto
con un sì perfetto adattamento all'epoca e all'ambiente raffinatissimi che gli
toccarono in sorte, da apparirci quale uno dei santi più tipici e
rappresentativi del secolo XVIII, né gli mancarono mai "scudi" per
aiutare i profughi francesi rifugiatisi in Italia dopo la grande rivoluzione,
né "baiocchi" per formarsi una ricca biblioteca ed una scelta
raccolta di opere d'arte.
Tutte queste qualità sono costanti del suo carattere, della sua personalità,
della sua vita e perciò esse spiccano nelle più varie circostanze esterne:
durante gli anni di studio e dei primi lavori in Spagna, come abbiamo visto;
nella drammatica traversata dal porto di Salou, vicino a Tarragona, a
Civitavecchia, alla Corsica, alla repubblica di Genova; negli anni angosciosi di
Ferrara, quando da un giorno all'altro si temeva lo scioglimento della Compagnia
di Gesù da parte del nuovo papa Clemente XIV; nel quarto di secolo che egli
trascorre a Bologna (1773 - 97), fino a quando non potrà consacrare tutto il
resto della vita a radunare le membra disperse della Compagnia e ad infonder
sangue nuovo, nell'ormai rinascente Ordine (1798-1811).
G. P. si dedicò a tale restaurazione a partire dal 1797, quando l'impresa era
già in cammino.
Soppresso l'Ordine di S. Ignazio nel 1773, esso non si estinse del tutto: mentre
l'ultimo suo generale, Lorenzo Ricci, consumava i suoi ultimi giorni nelle
carceri di Castel Sant'Angelo, né Federico Il di Prussia, né Caterina Il di
Russia permettevano la promulgazione del Breve di soppressione nei loro Stati,
nei quali, soprattutto in seguito alle due prime spartizioni della Polonia (1772
e 1773), viveva gran numero di cattolici, soliti a ricevere la loro educazione
nei collegi dei Gesuiti.
Federico resistette solo fino al 1776, ma l'altera Caterina non volle cedere, e
quella forma di vita religiosa che seguitavano a professare i Gesuiti nel suo
impero fu verbalmente approvata da Pio VI nell'udienza che il 12 marzo 1783
concesse all'ex gesuita monsignor Benislawski, agente della zarina in Roma.
Poco più tardi, nell'occidente dell'Europa, il trionfo della Rivoluzione
francese fece pensare ad alcuni giovani sacerdoti che occorresse una società,
simile all'antica Compagnia del Loyola, per arginare la marea antireligiosa.
Tale fu l'origine, quasi contemporanea, della " Società del Cuore di Gesù
", fondata dai francesi Léonor - François de Tournely e Charles de
Broglie, trasferita ben presto a Bruxelles e diretta da Joseph Varin dal 1797 in
poi; e della " Società della Fede di Gesù ", fondata in quel
medesimo anno in Roma, nell'oratorio del Caravita, dal trentino Niccolò
Paccanari. Ambedue le società si propagarono in diverse nazioni e si fusero di
poi in una sola nel 1800. Fuori d'Italia, molti ex-gesuiti pensavano che per
tale via indiretta si sarebbe meglio giunti alla restaurazione totale della
Compagnia. Così pensò pure un tempo perfino il padre Joseph de Clorivière,
che costituirà in Francia il principale legame fra l'antica e la risorta
Compagnia di Gesù. Altrettanto si dica degli ex-gesuiti inglesi, i quali dopo
la Rivoluzione avevano trasferito a Stonyhurst lo storico collegio di Saint-Omer
e di parecchi gruppi dell'Olanda, della Germania, della Boemia.
Ma ancor prima della totale rovina del Paccanari, accaduta nel 1808 per le sue
non lievi irregolarità, molti se n'erano già staccati ed a poco a poco si
erano venuti aggregando alla vera Compagnia di Russia. G. P. fu sempre del
parere che la restaurazione normale e legale della Compagnia di Gesù sarebbe
riuscita solo seguendo questa ultima strada. Egli stesso vi si aggregò il 6
lugl. 1797, rinnovando la professione religiosa nella sua cappella privata di
Bologna.
Non vedrà il giorno così atteso in cui Pio VII restaurerà l'antica Compagnia
di Gesù in tutta la Chiesa (7 ag. 1814), ma le preparerà in Italia un terreno
fermo e sicuro. Dapprima a Colorno presso Parma (1799-18.02) come maestro dei
nuovi candidati alla Compagnia e consigliere spirituale del duca Ferdinando di
Borbone, nipote diretto di Filippo V di Spagna; poi, invasi i ducati parmensi
dai francesi ed espulsi i Gesuiti, come provinciale d'Italia, dietro nomina del
vicario generale dei Gesuiti, residente nella Russia Bianca (1803). Quale
provinciale - carica che coprirà fino alla morte riorganizzò di nuovo la
Compagnia nei regni di Napoli e di Sicilia, sia con vecchi ex-gesuiti italiani e
spagnoli che man mano si erano incorporati alla Compagnia di Russia, sia con le
nuove vocazioni che sorgevano un po' dappertutto in Italia. Ma poco tempo egli
poté rimanere a Napoli, perché non credette lecito prestare il giuramento che
esigeva Giuseppe Bonaparte, e accettò piuttosto l'espulsione dal reame di tutti
i Gesuiti, i quali trovarono rifugio in Roma.
Tutto ciò avveniva non più grazie a permessi personali, o riservati, o magari
contraddittori, come al tempo di Pio VI. Il suo successore, settimo dello stesso
nome (1800 - 23), infatti, non soltanto poteva sollecitare Carlo IV di Spagna
affinché acconsentisse al ristabilimento totale della Compagnia intrattenendo
anche cordiali e frequenti rapporti con il vicario generale dei Gesuiti,
residente in Russia, ma poteva riconoscere e confermare l'esistenza canonica
dell'Ordine, prima nell'impero degli Zar, poi nei due regni di Napoli e Sicilia
(1801, 1804). Da parte sua G. P. discusse ripetutamente, a Roma, tutti questi
affari con Pio VII, e durante l'occupazione napoleonica, cercò cospicue somme
perché il papa potesse affrontare quella tristissima situazione, finché il 6
lugl. 1809 il pontefice, quale prigioniero, dovette prendere la via Flaminia,
alla volta di Francia. Il santo aragonese sapeva bene che, se la restaurazione
del suo Ordine religioso era un'opera di Dio, non la si poteva ottenere che
attraverso tribolazioni e travagli, per la lunga strada della umiltà, della
carità e della vita interiore.
La sua fama di uomo santo e caritatevole era diffusissima in Roma, e non
soltanto nella ristretta cerchia dei suoi confratelli e dei suoi amici più
intimi. Perciò, quando la sera del 15 nov. 1811 egli moriva nella piccola
casetta vicina a San Pantaleo, non lontana dal Colosseo, si ebbe cura che il
popolo non ne fosse subito informato, al fine di evitare manifestazioni che
potessero allarmare le truppe francesi di occupazione. In umiltà, come sempre,
si sigillò la sua tomba nella chiesuola dedicata a quel santo martire e alla
Madonna del Buon Consiglio.
Le sue memorie furono immediatamente raccolte, e uno dei suoi compagni di
esilio, aragonese anche lui, ne redasse la prima biografia, che fu tradotta in
italiano e stampata nel 1833. All'ormai attestata fama di santità, si
aggiunsero le grazie straordinarie attribuitegli. Il processo romano informativo
incominciò nel 1836; sei anni più tardi, su decreto di papa Gregorio XVI, la
S. Congregazione dei Riti ne introdusse la causa, ed incominciarono i processi
apostolici in Roma, Bologna, Napoli e Parma sulle sue virtù e i suoi miracoli.
Benedetto XV ne proclamò l'eroicità delle virtù; Pio XI lo dichiarò beato il
25 febb. 1933, e H 12 giug. 1954 Pio XII lo elevò alla più alta gloria della
Chiesa.
BIBL. : A. Monçòn, Vita del servo di Dio P. Giuseppe M.
Pignatelli d.C.d.G., Roma 1833; J. Nonell, El V. P. José M. Pignatelli y la C.
de J. en su extinción y restablecimiento, 3 voll., Manresa 1893-94; J. M. March,
El restaurador de la C. de J., Beato José Pignatelli, y su tiempo, 2 voll.,
Barcellona 1935-44; Archivum bistoricum S. ., XXIII (1954), pp. 193 - 344; M.
Batllori, La cultura hispano-italiana de los jesuitas expulsos, Madrid (in corso
di stampa).
Miguel Batllori, Bibliotheca
Sanctorum, II, Roma, Città Nuova Ed., 1962, coll. 1333 - 1337
I resti di San Giuseppe Pignatelli conservati
in un reliquiario posto sotto l’altare della cappella della Passione al SS.
Nome di Gesù all’Argentina; precedentemente erano nel sepolcreto della
comunità dei gesuiti.
Saragozza, 27 dicembre 1737 - Roma, 15 novembre 1811
Giuseppe Pignatelli nacque a Saragozza, in Spagna, il 27 dicembre 1737, dal
principe Antonio e dalla marchesa Francesea Mancavo. Dodicenne entrò con il
fratello Nicola nella Compagnia di Gesù, dove diede mirabili prove di eroismo e
di virtù. A quindici anni, l’8 maggio 1751, entrò nel noviziato della
provincia aragonese, una casa santificata dalla presenza di S. Pietro Claver,
l’apostolo dei Negri. Vi si distinse nella pietà, nello studio e
nell’esercizio della carità. Chiese insistentemente di essere mandato nelle
Missioni fra gli Indiani d’America, ma i suoi voti non poterono essere
appagati: la sua salute era molto cagionevole: si riebbe però, e nel dicembre
del 1762 fu ordinato sacerdote.
Posto come insegnante di grammatica nel collegio di Saragozza, mostrò una
particolare finezza pedagogica, unendo all’istruzione l’insegnamento pratico
della virtù. Nel contempo visitava le carceri prendendosi cura speciale dei
condannati a morte, ciò che gli valse il nomignolo popolare di padre degli
impiccati. Già uomo di consiglio, benché appena trentenne, era largamente
consultato: il suo zelo si impiegava inoltre nella difesa della Compagnia, fatta
oggetto di una ignominiosa guerra.
Tra il 1759 e il 1768 i Gesuiti furono cacciati dai domini del Portogallo,
disciolti in Francia, deportati dalla Spagna, dal Regno delle due Sicilie, da
Parma e Piacenza e da Malta. Dalla Spagna i Gesuiti furono imbarcati su tredici
navi mercantili, scortate da tre corvette reali al comando di Antonio Carcelò,
e deportati negli Stati Pontifici. Ma c’era un altro pilota in quella flotta
di profughi, Giuseppe Pignatelli, che da quel giorno prese il timone della
dispersa Compagnia, e con l’aiuto di Dio, la condusse sicura attraverso i mari
e le città d’Italia, pur fra nuove e più violente tempeste.
Il papa Clemente XIII protestò solennemente con la bolla “Apostolicum”,
contro le espulsioni dei Gesuiti, ma ottenne effetto contrario.
La rivoluzione francese e poi in seguito le guerre napoleoniche crearono attorno
a lui una situazione di incertezza e di timore: ma alla fine, il Beato vinse. A
Colorno, nel ducato di Parma, poi a Roma e a Napoli poté ristabilire case della
sua diletta Compagnia, dove morì il 15 novembre 1811.
Pio XI lo ascrisse tra il numero dei beati il 28 maggio 1933.
Antonio Galuzzi (www.santiebeati.it)
San Giuseppe Pignatelli
Confessore del XIX secolo
Gli
studenti di latino ricordano la parodistica iscrizione dettata dal Piovano
Pignatelli, il quale, piuttosto ignorante della lingua di Cicerone, avrebbe tra
l'altro latinizzato il proprio nome in Ollae parvae, cioè piccole
pentole, o pignatte.
L'aneddoto mal si attribuirebbe al dottissimo, coltissimo e studiosissimo
Giuseppe Pignatelli, ammirato nella dotta Bologna del primo Ottocento per la
sua vasta cultura e la sua splendida biblioteca; discendente da un ramo spagnolo
della famiglia Napoletana, alla quale appartenne un Papa riformatore, Innocenzo
XII Cardinali, Vescovi e politici illustri.
Non è però per la sua cultura, che Giuseppe Pignatelli è venerato - dal 1954
- tra i Santi della Chiesa, ma per la sua eroica fedeltà a una missione e a una
vocazione: quella da lui espressa pronunziando, giovanissimo, i voti della
Compagnia di Gesù.
Era nato a Saragozza, nell'Aragona, nel 1737, e senza cedere a nessuna delle
lusinghe del secolo «frivolo» e «illuminato», entrò presto tra i
seguaci di Sant'Ignazio, nel noviziato di Tarragona.
Se fosse stato mosso da ambizioni mondane, avrebbe scelto male il luogo e il
tempo, perché poco dopo, nel 1762, proprio quando il giovane Pignatelli veniva
ordinato sacerdote, il Parlamento francese ordinava la soppressione dei Gesuiti,
per ragioni politiche più forti dei pretesti religiosi.
Qualche anno dopo, i religiosi della Compagnia di Gesù sono espulsi non
soltanto dalla Francia, ma anche dalla Spagna. Nella stessa Roma sono
considerati « indesiderabili ». Comincia allora l'odissea del « gesuita
errante » Giuseppe Pignatelli, che ripara con i confratelli in Corsica, appena
in tempo per assistere alla cessione dell'isola alla Francia.
Passa allora a Genova, poi a Parma, finalmente a Ferrara, negli stati della
Chiesa. Proprio a Ferrara, Giuseppe Pignatelli solennizza i propri voti,
confermandoli in perpetuo. Ma di nuovo ha scelto male il momento: due anni dopo,
il Papa Clemente XIV, cedendo alle pressioni dei Borboni, scioglie la Compagnia
di Gesù. Il Padre Pignatelli, ridotto a semplice prete secolare, non può
neanche esercitare il ministero delle anime. t allora che si dedica, a Bologna,
agli studi e all'erudizione, facendosi ammirare per la sua modestia.
Gli eccessi della Rivoluzione francese mostrano all'Europa quali siano le
ultime conseguenze dell'Illuminismo filosofico e dell'anticlericalismo
religioso. Silenziosamente, nell'ombra, non come cospiratori, ma come precursori
di nuovi tempi, un gruppo di Gesuiti si ricostituisce a Parma, con il consenso
di Pio VI, il futuro martire della Rivoluzione. Il Padre Pignatelli è Rettore
di quel noviziato.
Nel 1804, quando Pio VII, il prigioniero di Napoleone, restaura la Compagnia di
Gesù nel Regno delle Due Sicilie, il Padre Pignatelli ne diventa Provinciale,
ma è costretto poco dopo a fuggire a Roma.
E a Roma muore, silenziosamente, nel 1811, dopo aver silenziosamente lavorato a
preparare la rinascita della Compagnia, che egli però non vedrà riabilitata
e rinnovata. E passeranno molti anni, più di un secolo, prima che un altro Pio,
l'undecimo, riconosca in Giuseppe Pignatelli, proponendolo per gli onori degli
altari, «il principale anello della catena che unisce la Società che era
esistita alla Società che sarebbe esistita».
Piero
Bargellini (Mille Santi del giorno, Vallecchi editore, 1977)